CLAUDIO STRINATI
La redazione della “Farandola News” è lieta di poter incontrare un Dirigente Pubblico Italiano che a nostro modesto parere rappresenta con la sua sapienza di Storico e Critico d’arte un esempio che unisce la parte Istituzionale con il sapere artistico. Per quei pochi che non lo conoscono possiamo dire pur brevemente che ha lavorato nel Ministero per i Beni e le Attività Culturali ricoprendo sempre incarichi importanti, fino a diventare nel 1991 Soprintendente per il Polo Museale Romano, incarico mantenuto fino al luglio del 2009. A lui il merito di aver pubblicato libri di Storia dell’arte che hanno incontrato notevole riscontro di lettura e critica, senza dimenticare i vari contributi di carattere scientifico e recensioni su argomenti a indirizzo musicale in numerose riviste specializzate italiane e straniere.
Prof. Strinati nel ringraziarla per la disponibilità nel rilasciarci questa intervista è sempre difficile al cospetto di tanta “sapienza” culturale porre domande giuste e mirate, ci proviamo convinti di poter affascinare i nostri lettori avvicinandoli al mondo artistico e non solo. I giovani di oggi sono il futuro del domani; in un mondo dove regna in maniera pressante la tecnologia, oggi è possibile vedere in maniera virtuale musei, mostre e altro. Può essere utile l’applicazione di ciò oppure secondo lei si perde quel senso di ricerca e approfondimento che nei decenni precedenti si eseguiva di persona? Beh, insomma, è un’arma a doppio taglio, effettivamente. Il rischio c’è. Se si esagera nello stare all’interno della realtà virtuale, si perde di vista la concretezza del vero. È un poco come Facebook, le persone con cui noi dialoghiamo sono “amici virtuali”, non li conosciamo personalmente, ecco, lo stesso paragone vale non solo per l’arte. Lo strumento elettronico è utilissimo, però se questo t’impedisce di non essere a contatto con le cose reali, questo non è positivo. Le difficoltà della vita tendono a tenere le persone più isolate e questo ha accresciuto l’uso degli strumenti informatici, è anche vero che la navigazione su internet è anche una forma di ricerca. Chi lo fa dovrebbe sapere e capire che non può limitarsi solo a quello. Paradossalmente se una persona attinge tutto il suo sapere da Wikipedia, il rischio evidente è quello di non avere nessuna possibilità di controllare altre fonti. È come chi legge un libro solo in tutta la sua vita, ci possono essere degli errori o inesattezze, ma se poi non effettua altre comparazioni con testi differenti… Ecco, è importante avere la molteplicità dell’esperienza, che non può essere basata solo sul computer. L’incontro di oggi, ad esempio, poteva essere sostituito con uno scambio di email, invece vedendoci di persona il discorso si arricchisce d’idee, pareri e opinioni, d’altronde l’arte è stata prodotta da persone che volevano comunicare del calore e se manca questo contatto umano… beh, manca tutto. Bisogna che le persone che hanno esperienza ricordino ai giovani che il computer è un mezzo, non un fine. L’interesse verso l’arte e la cultura è un atto d’amore.
Il nostro è un paese di artisti, poeti e sognatori, così siamo definiti nel mondo intero. Tutto questo unito all’immenso patrimonio culturale che possediamo da nord a sud dovrebbe darci la forza per vivere veramente di “cultura”… invece cosa accade? Perché non sono valorizzati degnamente i nostri capolavori non solo artistici ? È una domanda complessa, effettivamente i Beni Culturali generano poco lavoro, forse perché manca l’idea della valorizzazione. Prendiamo per esempio le biblioteche statali, (più vicine al nostro ambito) da tutti considerate “il deposito della sapienza”: sono luogo di studio e approfondimento di tantissimi studenti, eppure stiamo assistendo alla loro graduale chiusura. Sapete perché? Perché la figura del bibliotecario non è minimamente incrementata; è come se lo Stato non ha bisogno di queste figure professionali che lavorano all’interno di queste strutture. Alla lunga questo diventa un danno, perché porta a dover chiudere questi luoghi che conservano una storia culturale di grande valore. Certamente il nostro patrimonio e immenso (non a torto è definito da tutti “il petrolio della Nazione”) però il fatto che non genera lavoro è uno dei grandi paradossi del nostro Paese. È una notizia recente la nomina di venti direttori per i più importanti musei Italiani, però se a loro non sono dati i mezzi per tutela, le così dette figure professionali per ogni ruolo, cosa accade? C’è molto ancora da fare in tal senso, forse manca veramente “la cultura della cultura” e questo è il motivo per cui non si apprezza quello che veramente abbiamo.
Professore, nel 1993 è stata introdotta nell’ambito dei Beni Culturali la legge Ronchey, mai troppo amata dagli intellettuali e dagli addetti ai lavori, che ha introdotto la possibilità ai privati di sostituirsi allo Stato nella gestione del nostro patrimonio culturale. L’ingresso dei privati per alcuni è un incentivo, per altri è un’abdicazione dello Stato rispetto alle proprie responsabilità, la cessione di un bene collettivo ai privati. La sua personale considerazione a fronte di questo? La legge Ronchey mi sembra tuttora una buona cosa, anche se ancora non si è risolto bene il rapporto che intercorre tra il pubblico inteso come Istituzione e il privato. Diciamo che forse il difetto di questa legge è proprio questo: delineare bene il concetto tra le parti. Mi spiego meglio, l’Istituzione è il proprietario, il gestore dei beni (intesi come patrimonio), il privato può gestire alcuni servizi e per questo non può assolutamente sostituirsi all’entità principale. A quel punto ci vuole un imprenditore che con strategie di lavoro precise lavori accanto allo Stato. Ad esempio al privato è data in concessione la gestione della biglietteria di un museo, accade che in quei luoghi, dove non si può fare la distinzione tra spazio mostra e museo stabile, si svolgono degli eventi dove il privato può emettere un proprio biglietto… e quindi ne approfitta. A mio avviso, ripeto, la legge Ronchey è certamente positiva, ma non è stata però mai veramente sviluppata in un senso imprenditoriale, e infatti ora ne vediamo le conseguenze, anche se penso che comunque sia possibile rivedere questa tematica.
Lei è stato per moltissimi anni Soprintendente, lavoro che ha svolto con passione e dedizione assumendosi sempre in prima persona responsabilità di ogni genere. Ha curato con dedizione i rapporti culturali internazionali organizzando mostre e manifestazioni in varie Nazioni, tra Francia, Inghilterra, Germania, Spagna, Grecia, per passare negli Stati Uniti d’America, Canada, Messico, Argentina, Brasile ecc. Questa passione evidenzia in maniera forte l’amore verso l’arte. Da dove le nasce tutto questo? Questa mia passione nasce grazie all’aiuto di due persone specifiche che vivevano nel culto dell’arte, mio nonno paterno, critico d’arte, e uno zio materno di grande levatura morale e intellettuale. Sono stati loro che mi hanno guidato su questa strada. Con questi presupposti è stato per me semplice e naturale innamorarmi della mia professione. L’ho svolta con assoluta serietà ma divertendomi nello stesso momento, perché poi di fatto è vero che le cose che da piccolo piacciono con il tempo si ramificano. Devo essere sincero, la loro voce mi accompagna tuttora.
Nel periodo in cui è stato Soprintendente alla riorganizzazione dei Musei Statali Romani è stata restaurata e riaperta al pubblico la Galleria Borghese, è stato recuperato allo Stato Palazzo Barberini, che per più di mezzo secolo era stato occupato in buona parte da Istituzioni che nulla avevano a che fare con la Galleria Nazionale. Ha recuperato spazi di Palazzo Venezia, rendendoli disponibili e funzionali all’ampliamento del Museo e alle grandi mostre, ha collaborato inoltre alla riapertura del Vittoriano, che è diventato di fatto uno degli spazi espositivi importanti per la città di Roma. C’è un qualcosa che in questi anni di gestione non ha potuto fare o completare, un qualcosa di propositivo che è rimasta purtroppo solo un’idea? Beh, sì, due in particolare. Il primo riguarda il Museo degli strumenti musicali, e il progetto di ampliamento della sede museale con l’adiacente palazzina Capocci, idea sostenuta fortemente dal sottoscritto e dall’allora Direttore dell’Istituto Antonio Latanza. Per volontà dello stesso Ministero, quell’area è stata tolta al Museo per trasformarla in seguito come sede di uffici. L’altro rammarico riguarda la riorganizzazione di Castel Sant’Angelo, dove non sono riuscito nell’intento di valorizzarlo in modo differente e più ampio, e quindi il mio dispiacere è di non avere potuto lasciare un segno differente. Ecco, sono questi i miei crucci maggiori.
Prof. Strinati, Lei è stato ed è tuttora un grande estimatore di Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio. A Lei il merito di aver ideato e promosso la mostra nelle Scuderie del Quirinale nel 2010. Il progetto, ideato per celebrare il IV centenario della morte del grande artista, ha richiamato un pubblico immenso ed entusiasta. Ci può parlare di questa iniziativa? E soprattutto, come si organizza una mostra così importante? È giusto precisare che una mostra così importante si organizza solo se si riescono a creare buoni rapporti e una sinergia tra i Direttori dei Musei Internazionali. Mi spiego meglio, le opere d’arte sono un patrimonio dei musei; c’è un fatto culturale e umano alla base di tutto, quindi la cosa più bella è stata questa totale condivisione tra gli intellettuali (Direttori dei musei) e il sottoscritto. Lo scopo era di permettere alla gente comune di apprezzare nella completa totalità un grande artista come Caravaggio. È stato un progetto di elevato spessore culturale proposto all’interno di una prestigiosa sede e il riscontro positivo è stato condiviso dal pubblico e dalla critica. Personalmente ancora oggi sono soddisfatto e affezionato a questa iniziativa, forse perché mi ricorda l’ultimo impegno prima di lasciare l’Amministrazione Pubblica.
Caravaggio diventa un fumetto attraverso la matita di Mino Manara, una grandiosa biografia rivolta sia agli appassionati del fumetto d’autore che ai cultori della Storia dell’arte. A prestare il volto al Caravaggio di Manara il giovane fumettista e pittore Andrea Pazienza, scomparso prematuramente nel 1988. Che cosa pensa di quest’originale iniziativa? Ne penso molto bene, il mio pensiero l’ho scritto nell’introduzione al libro, dove si mette in risalto una componente umana molto importante. Manara ha voluto dare un segnale alla rilevanza di Caravaggio perché è stato un grande artista e ha vissuto l’arte in modo molto umano. È stato forse uno dei primi della Storia dell’arte che più che avere allievi nella sua bottega ha avuto amici e nemici, lavorando con loro e lasciando un messaggio artistico importante che la gente capisce ancora oggi. Manara era amico di Andrea Pazienza, hanno vissuto insieme l’esperienza della creazione artistica, scambiandosi opinioni e lavorando sull’idea dello stile della comunicazione. Quando poi Manara ha pensato di raccontare Caravaggio come l’artista che vive l’arte in una dimensione umana, ecco il collegamento con Andrea Pazienza: la stessa fisionomia, lo stesso genio, ecco a chi si è ispirato Milo Manara per dare vita e forma al suo Michelangelo Merisi nell’opera a fumetti “Caravaggio. La tavolozza e la spada”. La considero personalmente una cosa bella dal punto di vista artistico e umano, una grande pubblicazione.
C’è un artista che lei, dopo la felice esperienza di Caravaggio, Le piacerebbe far conoscere agli Italiani? Di artisti Italiani ce ne sono molti, mi soffermerei in particolare su Giovanni Battista Tiepolo e sul figlio Giandomenico, su di loro sto curando una trasmissione televisiva che sarà trasmessa a breve. I due hanno lavorato insieme per un periodo della loro vita, Giandomenico entrò a far parte della bottega del padre da giovane, ed è proprio lui che anticipa il discorso del fumetto, infatti attraverso il disegno amava narrare delle scene. Noto personalmente molte analogie con il Caravaggio, Manara e Pazienza. Mi piacerebbe un giorno realizzare una mostra sul Tiepolo (padre e figlio). Un altro personaggio cui sono legato è Giorgio De Chirico, su di lui sto svolgendo uno studio personale approfondito finalizzato a un’idea… ma è presto per parlarne.
Oggi l’arte pittorica ha ancora un ruolo importante nell’attuale società? Certamente. L’arte pittorica almeno da cento anni è considerata arte visiva, oggi grazie alla tecnologia (che può essere intesa come riprese televisive, filmati ecc.) non può che sviluppare ancora di più in meglio il proprio valore. Diciamo per sintetizzare che la pittura è un sistema di riproduzione di immagini che resta unico e non sostituibile.
Secondo lei qual è la differenza tra un artista contemporaneo italiano (ricco di un passato culturale) e la modernità degli artisti americani? In realtà non vedo nessuna differenza tra le due cose, io non credo nel concetto di modernità, questo è un qualcosa di soggettivo legato soprattutto alla tradizione. Se ad esempio prendiamo il Caravaggio, lui lavorava molto sull’istinto, però viveva su una tradizione importante. Aveva studiato Leonardo da Vinci, Giotto, quindi era formato con una sua idea. La conclusione? Nessuno è privo di tradizione! Ad esempio, un giorno molto lontano, quando sarà letta quest’intervista diranno: “Interessante, sono esternati concetti validi, significativi, pieni di contenuti”. Vedete, questo potrà diventare nel nostro piccolo un “pezzetto di tradizione”. L’unico giudizio critico che ha senso è considerare sempre la modernità come un concetto molto relativo.
L’Associazione Culturale La Farandola ha proposto nel 2014 una mostra con inediti dedicata ad Andrea Pazienza dal titolo “Un segno indelebile… Andrea Pazienza nelle scuole” e in parallelo è stato proposto un Bando di Concorso artistico indirizzato alle scuole secondarie di I e II grado (Istituti superiori artistici e grafici), il tutto recepito con entusiasmo da Dirigenti scolastici e docenti. Domandiamo a Lei, che è sensibile a questo, perché delle entità come la nostra propongono iniziative di questo tipo e le Istituzioni sono assenti? Le Istituzioni dovrebbero inevitabilmente avere uno sguardo superiore e monitorare le singole realtà che propongono iniziative di elevato spessore come questa dedicata ad Andrea Pazienza, che tra l’altro rientrerebbe a pieno titolo tra i grandi personaggi che dovrebbero essere onorati. Però dobbiamo essere realistici, ciò è impossibile. È giusto invece che le Istituzioni stesse sostengano in tutti i sensi progetti culturali di questo tipo, ma è molto difficile che riescano a proporle loro in prima persona. L’Italia, lo sappiamo bene, è un paese di artisti, poeti, emigranti… è utopistico pensare che le Istituzioni debbano organizzarsi in prima persona per tutto. Però, ripeto, supportare è certamente possibile. Anzi, personalmente lo considero un obbligo.
Prof. Strinati, un’ultima domanda, stiamo allestendo all’interno della nostra struttura una Biblioteca del fumetto denominata “Biff” (Biblio Farandola Fumetto) grazie anche al prezioso aiuto di personaggi autorevoli del settore quali Renato Pallavicini e Luca Raffaelli, l’intento è quello di creare un punto di riferimento per giovani e non, dove il fumetto possa avere la giusta dimensione; un luogo dove proporre incontri, eventi, conferenze. Lei cosa pensa di questa iniziativa? Un personale suggerimento? Ne penso ogni bene, sia per l’amore che ho verso l’argomento ma soprattutto per la stima immensa che ho verso Renato Pallavicini e Luca Raffaelli. Sinceramente non ho suggerimenti da darvi perché voi avete il “top” inteso come risorse umane in materia, loro sanno bene cosa proporre, sia a livello di mostre, sia d’incontri culturali, hanno le giuste competenze per individuare dei filoni su autori e personaggi dei fumetti da seguire. Mi complimento per tale iniziativa e spero soltanto di esserne ogni tanto coinvolto nel vostro costruttivo e ambizioso progetto.
Allora l’aspettiamo all’inaugurazione della Biblio Farandola Fumetto? Certamente, l’apertura di una struttura di tale importanza in una città ricca di cultura come Roma merita la massima attenzione e valorizzazione non solo da parte mia ma di tutti gli addetti ai lavori.