CARLO DELLE PIANE
«La Farandola news» continua il suo percorso nel mondo della celluloide, sempre attenta a proporre personaggi che uniscono il talento artistico alla semplicità nel comunicare con il pubblico. Uno di questi è proprio Carlo Delle Piane. Il suo esordio cinematografico avviene molto presto, a soli dodici anni, quando è scelto da Vittorio De Sica per interpretare un ruolo nel film tratto dal famoso romanzo di De Amicis, Cuore. Da allora ha girato oltre cento film al fianco dei più importanti attori del cinema italiano, da Totò ad Aldo Fabrizi, da Gassman ad Alberto Sordi.
Dottor Delle Piane, buongiorno.
Buongiorno a voi.
Lei ha esordito nel cinema giovanissimo. Come e cosa ricorda di quell’episodio della sua vita?
Per me era puro divertimento, perché innanzitutto mi evitava di andare a scuola, che non mi piaceva molto allora. Eravamo una specie di scolaresca, il cui professore era De Sica, che infatti – proprio come un maestro – ricordava a memoria tutte le nostre battute. È proprio allora, nel 1948, che ho cominciato a lavorare coi più grandi attori dell’epoca – Totò, Fabrizi, Gassman, Sordi, come lei ha ricordato – ma non apprezzavo né capivo la loro straordinaria bravura, l’ho capita molti anni dopo. Io mi divertivo e basta, mi mettevano davanti alla macchina da presa, avevo questa faccetta che funzionava, dicevo le mie battute, me la cavavo bene e mi divertivo.
Come ha vissuto questa improvvisa popolarità?
Bene, sono sempre rimasto lo stesso bambino, poi un uomo, ora una persona anziana con una faccia curiosa, ma in realtà bruttina, eppure io non ho mai avuto complessi sulla mia bruttezza. Da bambino, camminando per le strade o giocando, mi indicavano con la mano e non capivo perché, in realtà era perché vedevano in me un bambino bruttino, particolare, quasi un marziano.
Negli anni Cinquanta lei partecipa ad alcune tra le più importanti commedie italiane e interpreta il “figlio” di Totò in “Guardie e ladri”. Come ha vissuto questa esperienza e che rapporto ha avuto con attori così grandi?
Io ho avuto sempre ottimi rapporti con Fabrizi, mi trattava come un figlio. Era una persona molto leale ma abbastanza riservata e triste, spesso si isolava. Sordi invece era una fonte di divertimento continua, scherzava, giocava, però poi quando c’era da lavorare era molto serio. Con Fabrizi ho girato svariati film e poi abbiamo lavorato insieme in Rugantino, negli anni Sessanta. Abbiamo avuto un’amicizia molto forte, ci frequentavamo, andavo a casa sua a mangiare, andavamo in vacanza insieme: è l’unico attore con cui ho avuto un legame così stretto. E probabilmente non ha avuto il giusto e pieno riconoscimento per il suo immenso talento.
Lei ha ricevuto moltissimi premi e riconoscimenti. A quale dei tanti è affettivamente legato?
Il mio primo film da protagonista è stato Una gita scolastica (1983), per cui io e Pupi Avati andammo per la prima volta a Venezia, riscuotendo un grandissimo successo di pubblico e critica – i critici furono molto entusiasti per l’intensità che avevo dato al mio personaggio, infatti ho vinto il Nastro d’Argento e il Globo d’Oro per quella interpretazione. Tornammo a Venezia nel 1986, dove mi venne consegnata la Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile per Regalo di Natale, pur non essendo io un protagonista in quella pellicola, cosa che mi rese doppiamente orgoglioso.
Dalle sue parole emerge un profondo legame artistico con Pupi Avati, che lo ha aiutato a esprimere al meglio le sue qualità artistiche. È vero questo?
Certamente, devo molto a Pupi Avati, ma c’è anche questo da dire: io ho sempre voluto e cercato di proporre una recitazione molto asciutta, essenziale, frutto di prove su prove, cosa che il pubblico ha compreso e apprezzato tanto.
Il cinema di oggi è in crisi: mancano produttori, fondi, etc. Lei si riconosce in questo mondo?
No, assolutamente. Mancano non solo i finanziamenti, soprattutto mancano i cervelli: alcuni giovani di oggi hanno delle qualità, ma si danno a un cinema ripetitivo, “facile”, non di qualità, che quindi non viene apprezzato nella gran parte dei casi.
Secondo lei manca lo spirito di sacrificio nel cinema di oggi, nei ragazzi di oggi?
Sì, manca loro il sacrificio, la volontà di imparare, però allo stesso tempo hanno una fortuna che noi non abbiamo mai avuto: oggi con una piccola cinepresa e un po’ di volontà e organizzazione si può mettere insieme abbastanza facilmente una piccola troupe, anche se rudimentale, perché quasi tutti possono permetterselo. È così che si comincia, dal basso, per arrivare sempre più in alto e migliorare.
Lei, che è partito dal nulla, è soddisfatto di quello che ha ottenuto?
Sì, sono pienamente soddisfatto. Però al tempo stesso sono cosciente di avere ancora qualcosa da poter dare al pubblico. Fortunatamente offerte me ne hanno sempre fatte, me ne fanno, me ne faranno ancora, ma io non ho mai tradito il mio pubblico, non ho mai tradito me stesso, non ho mai accettato il compromesso, ho sempre cercato la qualità, che per molto tempo non ho trovato. Recentemente ho accettato di prendere parte al progetto di un autore sardo – che mi ha portato ad Alghero –, il quale ha scritto una sceneggiatura molto bella, davvero potente e ha messo a punto in questa circostanza la sua prima esperienza alla regia.
Lei ha avuto anche un’esperienza da regista, nel 1977. Ce ne vuole parlare?
Sì, mi è stata proposta questa distribuzione indipendente, che uscì a Roma, in ambienti di lusso, senza alcuna pubblicità, senza promozione, ma sono comunque molto soddisfatto di quello che ho fatto nella mia vita, come attore principalmente, ma anche come regista.
Dottor Delle Piane, lei è molto noto anche per la grande umanità, per l’impegno profuso nei confronti dei bambini che soffrono, questa saggia umanità (perla rara nella società di oggi) come nasce?
Io da molti anni mi interesso di adozioni a distanza: ho adottato ben quattro bambine! Questi bambini li sostengo, li faccio studiare, gli do la possibilità concreta di avere un futuro migliore. E sento sempre di fare troppo poco, spero in futuro di adottarne ancora.
Un’ultima domanda: tornando al suo legame con Pupi Avati, quali aggettivi utilizzerebbe per descriverlo, dovendo farne un ritratto?
Pupi è un grande scrittore, un grande sceneggiatore, un grande regista, che tuttavia non ha avuto e non sta avendo ciò che meriterebbe, il che è un peccato perché una persona del suo spessore andrebbe valorizzata meglio.
Dottor Delle Piane, grazie per la sua gentilezza e per la cortesia con cui ha risposto alle nostre domande. Buona giornata e in bocca al lupo per i progetti futuri!
Grazie a voi!