La tavola agiografica di Santa Lucia è oggi conservata presso il Museo Regionale di Messina, ma è la protagonista di una storia lunga e complessa. L’opera si è rivelata grazie ad un intervento di restauro che ha rimosso cinque strati di ridipinture che avevano reso l’immagine originaria irriconoscibile.
A cura di Martina Tramontana
L’icona è citata per la prima volta da Cajo-Domenico Gallo, uno storico messinese del XVIII secolo, nella sua opera Apparato agli Annali della città di Messina del 1755: egli la giudica antichissima e la cita nella chiesa peloritana di Santa Lucia dei Confettieri. Dopo più di un secolo di silenzio, la troviamo menzionata nella Guida di Messina del 1902. Anche qui viene ancora citata nella chiesa di Santa Lucia dei Confettieri. Dopo il devastante terremoto che colpì Messina nel 1908, la tavola viene ricordata nella relazione dell’archeologo Antonino Salinas e dello storico Gaetano Columba, Terremoto di Messina. Opere d’arte recuperate, edita nel 1915. Il dipinto viene ritrovato allora nella chiesa di S. Pelagia. Ne vengono fornite le misure di 0,75 x 1,20 m, e viene detto che risulta ridipinto ma non danneggiato e la santa rappresentata viene dubitativamente identificata con S. Pelagia. L’icona scompare dal panorama degli studi per poi ricomparire nel volume del 1997 Le Icone del Museo di Messina, di Francesca Campagna Cicala. Qui è presentata come un’opera in condizioni precarie, dubitativamente identificata come un’immagine di S. Pelagia, da identificarsi, secondo la studiosa, con l’icona ritrovata nella chiesa dedicata a questa santa. Ella sostiene che il 2 giugno 1915 entrò a far parte della collezione del Museo Regionale e le venne assegnato il numero di inventario 144; successivamente, però, risulta assente nel registro dell’inventario redatto da Maria Accascina nel 1957. Tuttavia, negli anni in cui la Campagna Cicala pubblicò il suo volume sulle icone messinesi, l’opera era ancora in restauro e non fu possibile, per la studiosa, studiarne i dettagli.
Il restauro venne eseguito negli anni 1996 – 1997 dal Professore Ernesto Geraci, che ho avuto il piacere di intervistare. Nonostante non sia stata redatta una relazione dell’intervento eseguito, il Professore mi ha gentilmente illustrato il suo lavoro: l’opera arrivò nei depositi del Museo smembrata in due o tre parti e fortemente danneggiata, pertanto venne eseguita un’operazione di ricomposizione, di risanamento del supporto, di pulitura e, infine, di perfezionamento del tessuto pittorico.
La Campagna Cicala, in uno studio del 2012, Due tavole medievali a Messina, torna a parlare della nostra icona che, dopo il restauro, viene identificata definitivamente con un’immagine di Santa Lucia, grazie all’iscrizione ai lati della testa, alla presenza della coppa con gli occhi, tipica dell’iconografia della santa, e delle scenette laterali con le storie della sua vita, elementi riportati in luce proprio dall’intervento di Geraci. Per quanto riguarda la collocazione originaria, la Campagna Cicala ipotizza che la tavola venne spostata nei primi del Novecento nella chiesa di S. Pelagia e dichiara plausibile l’ipotesi che si tratti di un dipinto commissionato per devozione privata, come si evince dalla presenza di quattro personaggi in preghiera ai piedi della santa. Dal restauro è, tuttavia, emerso che queste figure siano da attribuire ad una stesura successiva.
Ad oggi, l’ultima menzione della nostra icona è presente nel volume Pittura medievale in Sicilia, edito nel 2017, sempre della Dott.ssa Campagna Cicala. In questa sede viene confermato che l’aspetto attuale è emerso da cinque strati di ridipinture, che si tratta di un’opera di devozione privata, ne viene proposta una datazione all’ultimo quarto del XIII secolo e una esecuzione locale, dato avvalorato dall’assenza di S. Lucia nel santorale orientale e dalla frequenza, invece, delle sue rappresentazioni nell’Italia meridionale.
Sotto i cinque strati rimossi dal restauro, è riapparsa l’immagine di S. Lucia, raffigurata stante su fondo oro, in una rigida posizione frontale. Le mani aderiscono al petto, la sinistra è allungata per sorreggere la palma del martirio, mentre la destra tiene il calice contenente gli occhi. È incoronata da un prezioso diadema ed indossa una tunica scura, ornata da una stola decorata con un motivo a ramages, ricoperta da un manto foderato da un’elegante pelliccia. Il volto allungato, di carnagione bruna, è caratterizzato da una rigida ieraticità.
La figura centrale della santa è accompagnata da otto episodi, quattro per lato, che ricordano i momenti salienti della sua vita e del suo martirio, i quali trovano un parallelo in Italia meridionale con le pitture della chiesa rupestre di S. Lucia a Melfi, in Basilicata, della fine del XIII secolo. Nelle scene laterali della nostra icona il linguaggio è spiccatamente espressivo e si inserisce sulla linea dell’esperienza monrealese.
Come anticipato precedentemente, in basso, sia a destra che a sinistra, sono presenti due riquadri in cui sono raffigurate le committenti dell’opera. Esse sono rappresentate, nel riquadro di destra, in preghiera su uno sfondo verde. Il riquadro di sinistra è molto rovinato e rimangono solo tracce dello sfondo e delle mani giunte delle figure.
Pertanto, sulla base degli studi esistenti e delle ricerche da me condotte, l’icona di Santa Lucia del Museo Regionale di Messina è databile tra la fine del XIII secolo e l’inizio del XIV ma, come abbiamo visto, le figure dei committenti sembrano un’aggiunta successiva. Questo è un punto sul quale future indagini diagnostiche sapranno fornirci elementi più precisi.