La conoscenza tra Caruso e Castelli, avvenuta negli anni ’50 in un periodo dove fare la nuova arte, richiedeva la funzione di tutte le energie dell’uomo, nella creazione e nell’interpretazione.
A cura di Franco Massimi
Nel rivedere alcuni schizzi e vignette umoristiche che ritraggono Enrico castelli e Bruno Caruso, mi sono ricordato della prima volta in cui le vidi con Giselda, la sorella di Castelli. Mentre le osservavamo ci siamo guardati con una espressione divertita, perché Caruso amava molto ironizzare nella vita di tutti i giorni soprattutto con gli amici.
Tra le vignette ce n’è una in particolare dove Caruso ritrae se stesso e Castelli seduti su una scalinata di un’ipotetica chiesa, chiedendo l’elemosina.
Giselda racconta del rapporto di suo fratello Enrico e Bruno Caruso dicendomi che la loro conoscenza è avvenuta nella metà degli anni Cinquanta “Lui era molto più giovane di mio fratello Enrico che in quegli anni rappresentava un punto di riferimento sia per artisti giovani che artisti già affermati i quali volevano carpire i segreti e l’innovazione sul campo della grafica artistica (incisioni, litografie ecc…)”.
In questo settore Castelli era un inventore e un innovatore di grande esperienza e tra i tanti progetti realizzati costruì un torchio calcografico per le incisioni grafiche trasformando una macchina impastatrice, per aumentare sempre più il numero di copie riducendo contemporaneamente il tempo necessario a produrle. Creò così una delle più importanti stamperie artistiche in Italia, dove non solo stampava le sue opere ma soprattutto quelle degli artisti più affermati nel periodo, dagli anni Cinquanta agli anni Settanta.
Caruso e Castelli si sono frequentati molto allacciando così un’amicizia fondata sugli interessi artistici e sulla stima reciproca in un periodo storico dove era già avvenuta la secessione artistica italiana. Dove si chiedeva agli artisti che aderivano a questo movimento semplicemente di rifiutare la retorica che aveva influenzato l’arte l’italiana durante il periodo fascista, durato vent’anni.
Questa formazione artistica ampia e aperta si era trasformata subito dopo nel “Fronte nuovo delle arti”, il cui nome riprendeva ipoteticamente quello tutto politico dei vari fronti popolari. L’esperimento si raccoglieva attorno a idee di generico rinnovamento linguistico e generazionale, un gruppo di giovani artisti di varie espressioni stilistica gravitante tra Milano, Venezia e Roma.
Artisti come Antonio Corpora, Pericle Fazzini, Renato Guttuso, Nino Franchina, Ennio Morlotti, Giulio Turcato, Emilio Vedova e Alberto Viani. Questo gruppo era destinato a durare sino al 1950 e vi si riconosce un’analogia con gli sviluppi politici italiani e una iniziale grande alleanza progressista su progetti generali ma anche generici, nonché una successiva differenziazione linguistica che porta anche ad aspri scontri ideali e ideologici con la rottura e lo scioglimento del gruppo.
Non va mai dimenticato che negli anni dell’immediato dopoguerra, e almeno sino alla metà degli anni Sessanta (forse fino al fatidico sessantotto), la polemica politica artistica, almeno in Italia, fu pesantissima. Al giorno d’oggi questo tipo di scontro, sarebbe impensabile. La scelta di campo, che si riduceva in maniera manichea e alla dicotomia figurazione/astrazione crea soprattutto appartenenza politica, essendo l’astrazione condannata dagli scritti teorici a non essere “popolare”, quindi non soddisfacente alle esigenze del rinnovamento sociale.
Mentre il forte versante figurativo definito figurativismo sociale, detto anche realismo sociale, ebbe un grande consenso popolare e l’artista più rappresentativo fu Renato Guttuso.
Enrico Castelli e Bruno Caruso erano simili e in sintonia su molti aspetti. Castelli amava progettare, inventare e creare su tanti campi. Caruso sapeva scrivere, disegnare, dipingere e soprattutto aveva un’attenzione all’etica civile dell’uomo. La loro genialità e la follia creativa li portavano a non essere inquadrati in uno stile specifico o in una corrente artistica; si sentivano uomini liberi nello spirito e nella sperimentazione.
“Mio fratello aveva da sempre coltivato l’idea di creare un centro delle arti a Roma che potesse essere luogo di incontro di artisti e artigiani di diverse discipline, Bruno Caruso aderì subito a questo progetto, sostenendo attivamente questa idea”.
Pittori, scultori, architetti, scrittori insomma un luogo centrale dove poter scambiare idee, progetti e produzioni artistiche.
Bozzetti Sculture E. Castelli