Manuela Olivieri
racconta il mito dello sport azzurro Pietro Mennea
Campione olimpico a Mosca 1980, è stato detentore del record mondiale dei 200 metri per 17 anni. Il suo tempo 19″72 realizzato a Città del Messico nel 1979, battuto solo da Michael Johnson ai Giochi di Atlanta. Nel suo palmares: cinque partecipazioni olimpiche, un oro e due bronzi ai Giochi, un argento e un bronzo ai Mondiali, tre ori, due argenti e un bronzo agli Europei. Ma la sua vita non è solo costellata da record e medaglie d’oro. Conosciamolo meglio attraverso le parole di Manuela Olivieri, moglie del velocista, e vice-presidente della Fondazione Pietro Mennea Onlus.
Dimenticare Mennea è difficile, aveva una forza particolare, sapeva farsi amare da tutti, soprattutto dalle persone comuni, anche se aveva anche amicizie di spessore. Parlava poco davanti alle telecamere, sembrava il protagonista di una favola, un personaggio da romanzo… invece?
Invece non era così. Io dico che bisogna contestualizzare sempre tutto, negli anni Settanta Pietro era un ragazzo di vent’anni e non lo possiamo confrontare con un ragazzo di oggi, che a quindici anni ha già grandi aspirazioni. C’è un filmato simpatico, che Pietro si vergognava di mostrare, quando arrivò terzo alle Olimpiadi di Monaco fu invitato in Rai alla trasmissione televisiva del sabato sera Canzonissima, all’epoca esistevano solo due canali televisivi e quindi il programma era visto da tantissimi italiani. Pippo Baudo, che presentava la trasmissione, cercò in tutti i modi di far dire qualcosa a Pietro, ma lui impassibile e timido non proferì parola. Riservato anche quando era attaccato dai giornali, “Io in fondo”, dichiarava, “parlo con i risultati e non capisco il perché di tutto questo”. Un Mennea ben differente negli anni seguenti, il quale aveva ormai acquisito sicurezza e naturalezza nel parlare. Pietro era amatissimo dalla gente, vi racconto un particolare accaduto in un paesino dell’Umbria, si avvicina a noi un signore anziano che lo riconosce, ci vuole offrire da bere, noi un po’ imbarazzati rifiutiamo cortesemente l’invito, lui istintivamente si mette a piangere dicendo: io lavoravo nelle miniere in Belgio, e noi italiani eravamo considerati gli ultimi degli ultimi, però quando correva lei con orgoglio potevamo dire: Noi abbiamo Pietro Mennea. Ecco, per noi sentire queste parole è stata un’emozione forte, un qualcosa che non si potrà mai dimenticare.
La passione per la velocità nasce dai tempi della scuola. Questo è stato il punto di partenza per far sì che diventasse quel campione che è stato. Un suo ricordo di questo? Chi ha scoperto veramente Pietro come atleta (lui stesso su questo ci teneva tantissimo nel dirlo), è stato il Professor Autorino, docente di educazione fisica nella scuola che frequentava mio marito. Da subito aveva capito di trovarsi davanti a una persona che in futuro avrebbe fatto una carriera brillante. In seguito a ciò, fu tesserato dall’Avis Barletta iniziando il suo percorso sportivo.
Una delle sue principali caratteristiche era di non dimenticare mai da dove era partito. La città di Barletta è rimasta nella sua mente e nel suo cuore, anche quando ha scelto di lasciare la sua terra e trasferirsi tra Formia e Roma. È così? Sì, e vero, noi tornavamo molto spesso Barletta, lui aveva un legame forte con la mamma e la sorella, era stato costretto ad andare via perché nella sua città non c’erano piste di atletica e pertanto era difficile potersi allenare. Pietro aveva capito che l’atletica era una grande opportunità per fare quello cui lui ambiva di più, ma questo comunque non gli impediva di rimanere legato alla Puglia e alla sua adorata città.
Sig.ra Olivieri, il mito (perché di questo si tratta) Pietro Mennea può essere d’aiuto alle generazioni più giovani? Direi assolutamente di sì. Pietro è stato la dimostrazione che con l’impegno e il sacrificio si può arrivare ovunque. Lo diceva con assoluta serenità, dimostrando come queste due doti insieme gli hanno permesso di raggiungere traguardi importanti. È vero, ha fatto una vita piena di sacrifici, specialmente quando stava a Formia ad allenarsi, e in tutto questo aveva anche il tempo di studiare perché per lui il domani non era solo “l’atletica”. Raccontava che subito dopo l’ultima olimpiade di Seul (1988) prese l’aereo per recarsi alla Bocconi di Milano per sostenere l’esame di dottore commercialista essendo già laureato in scienze politiche. Ecco in sintesi Pietro aveva idee molto chiare sul suo domani.
Le leggo una citazione del 2013 di Mennea da Gazzetta.it: “Io mi sono allenato per 20 anni, ho avuto una carriera lunghissima come velocista, ma non mi sono mai neanche strappato. Invece se avessi fatto uso di steroidi anabolizzanti mi sarei strappato chissà quante volte. Lo sport deve rimanere l’ultimo baluardo del tessuto sociale per quanto riguarda il rispetto delle regole. Insomma, tra gli atleti deve vincere il più bravo, non il più furbo (Citazione Gazzetta.it 2013). Era una frase che ripeteva molto spesso soprattutto ai giovani. Pietro aveva una corporatura molto esile, 1,80 x 68 kg (circa), il suo fisico era più da mezzofondista che da velocista. Se avesse aumentato la muscolatura, con la sua corporatura scheletrica avrebbe subito certamente ripetuti strappi muscolari. Paragonava un velocista a una macchina da corsa, doveva essere tutto dosato e centellinato, un mix corretto che con il tempo porta i giusti risultati. Questo aveva un significato ben preciso: rispettare nella totalità le regole sportive.
Mosca 1980, 200 piani, tempo realizzato 20”19: medaglia d’oro. Emozione unica per un atleta che è stato un sunto di lavoro, umiltà, concretezza e professionalità. Cos’è rimasto emotivamente a Pietro di questo? Pietro ha sempre definito quella finale un qualcosa di magico, le quarantotto ore precedenti sono state da lui definite le più importanti della sua vita anche dal punto di vista sportivo. Veniva infatti dall’eliminazione in semifinale nei 100 metri (vinti in seguito dal britannico Allan Wells), ed è proprio quella sconfitta che ha fatto scattare in lui la forza interiore che, di fatto, è stato il volano per questa impresa. La sua rivincita è stata doppia, prima nei confronti della critica che lo dava in declino come atleta, visto il risultato dei 100 metri, in secondo luogo, non meno importante, nei confronti del “rivale” Wells.
Un’altra citazione di Mennea da Repubblica.it, del 2013: “Lo Sport insegna che per la vittoria non basta il talento, ci vuole il lavoro e il sacrificio quotidiano. Nello sport come nella vita”. Sì, è vero, lui diceva proprio questo, nella vita non è importante essere campioni nello sport o vincere Olimpiadi, la vita è come una strada quando raggiungi la fine, ci si volta indietro per vedere cosa e come si è fatto, questo lo sport lo insegna veramente. La vita, diceva, è come una pista di atletica formata da otto corsie, sette di queste sono riservate ai furbi, ma una si deve lasciare agli onesti, ai puri e ai corretti, ecco, io come altri percorriamo questa.
Ancora diceva: “La gente mi vuole bene, me l’ha sempre voluto, forse perché il mio modo di interpretare l’atletica è assolutamente puro (citazione dal giornale Repubblica 1988). È vero, la gente si riconosceva in lui, lo fermava per strada, conversava e scherzava con tutti in maniera affabile, nel quartiere non c’era negoziante che non aveva una foto con dedica da parte di Pietro, tanti piccoli cimeli li regalava, ecco il suo personale rapporto con la gente era così: solare e affabile.
Una figura importante nella sua vita sportiva è stato Carlo Vittori, ne parlava con lei? Come lo rappresentava nel suo pensiero? Certamente, è stato un binomio fantastico e vincente dal punto di vista sportivo, è giusto dire, come asseriva Mennea, che senza di lui non sarebbe diventato quello che la storia dell’atletica ha consacrato. Il rapporto tra loro è sempre stato molto professionale, Pietro addirittura gli dava del “lei”, questo per dimostrare che tipo di rispetto ci fosse tra di loro: allenamenti lunghi, intensi e duri, ma a Pietro tutto ciò non pesava assolutamente, lui si divertiva così. Dal punto di vista umano invece, dopo i lunghi allenamenti a Formia, non si concretizzava l’amicizia di cui Pietro sperava, e questo a mio marito dispiaceva molto. Certamente questa è stato comunque un connubio sportivo che ha arricchito entrambi.
Sara Simeoni, altra grande atleta italiana, ha detto: Pietro ed io lavoravamo lontano dai riflettori. Eravamo due atleti fuori moda. Lo siamo rimasti. Caparbi, sinceri, due che non si adeguano. Lui anche più di me. Siamo cresciuti in un mondo meno asettico, dove c’era più spazio per essere veri. Quando abbiamo smesso, non ci hanno mai coinvolti nello sport. Troppo spigolosi, poco comunicativi. Secondo lei perché da parte della federazione quest’atteggiamento? Qualche cosa Sara ha fatto con la Federazione, Pietro invece nulla. Forse anche perché, in precedenza, l’atleta era visto come una persona che eseguiva determinate direttive senza pensare. Oggi le cose sono profondamente cambiate, Pietro era uno che aveva studiato molto, e non si sarebbe mai limitato nel fare da semplice comparsa o testimonial, era con chiunque molto diretto e pertanto difficile da gestire caratterialmente. Ad esempio, quando è stato eletto Parlamentare Europeo (1999/2004), tutti pensarono che essendo uno sportivo non avesse dimestichezza con vari protocolli, invece lui curava personalmente anche le relazioni che altri in quella stessa sede facevano scrivere al loro posto da solerti funzionari. Pietro era invece l’opposto, curava tutto in prima persona in modo non potesse essere strumentalizzato quello che scriveva. Anche al termine del suo mandato, è rimasto in contatto con molti parlamentari europei, dimostrazione, ancora una volta, di quanta stima fosse riscontrata in lui.
Tre volte campione italiano nei cento metri e undici volte campione italiano nei duecento metri, Mennea ha avuto l’onore, nel marzo del 2012, di vedersi dedicata una stazione della metropolitana di Londra, in occasione delle iniziative collegate con i Giochi Olimpici Londinesi. Che effetto fa tutto ciò? Be’, di questo era molto contento e fiero. Ricordo che prima delle Olimpiadi siamo andati a casa dell’ambasciatore inglese a Roma, per questo riconoscimento. Pietro era emozionato e felice di essere accostato in quella circostanza a tanti campioni sportivi quali: Mark Spitz, Muhammad Alì, i fratelli Abbagnale. Diceva: “Ho partecipato a cinque Olimpiadi e ne ho vinta una, sono pochi i velocisti che l’hanno fatto, credo che sia stato questo il motivo che ha spinto l’amministrazione della città inglese a onorarmi con una dedica del genere”. Sono rammaricata di come l’Italia non abbia riconosciuto le tante cose che Pietro aveva fatto in vita, nonostante lui, anche al termine della sua carriera, andava nelle scuole parlando di valori e lealtà nello sport. Aveva un rapporto particolare con i giovani, li spronava invitandoli a non desistere mai dai propri obiettivi. Ecco forse sarebbe giusto dire: si sono ricordati di lui solo dopo la sua morte!
Atleta poliedrico, mente attiva e propositiva, Mennea si è laureato in Scienze politiche (ebbe il sostegno dell’allora ministro degli Esteri Aldo Moro), Giurisprudenza, Lettere e Scienze dell’Educazione Motoria. Dove trovava tutta questa energia? Aveva un carattere tenace, forte, senza dimenticare quanto fosse testardo, quindi le cose difficili per lui non esistevano, svolgeva tutto con semplicità. Vi racconto un aneddoto: lui si allenava ogni giorno a Roma, vicino al Ministero degli affari esteri (la Farnesina) nello Stadio dei marmi (ora dedicato a lui) per i campionati del mondo del 1974. Come ogni giorno mentre si allenava, vedeva passeggiare una persona che lo osservava, e una mattina tra uno scatto e una ripartenza gli si avvicina quella persona che con semplicità gli dice: l’Onorevole Aldo Moro la vuole conoscere! Pietro rimase sorpreso di ciò, si recò da lui e dopo essersi presentati Moro gli disse: Lei cosa fa, al momento? Onorevole sono iscritto all’ISEF, bene gli rispose, al termine s’iscriva alla facoltà di Scienze politiche. È stato veramente un segno del destino. Pietro era molto testardo, pensi che quando prese la laurea in Scienze politiche nel 1980, aveva escogitato un piccolo trucco. Vittori, il suo preparatore, era contrario che lui studiasse, perché sosteneva che questo poteva distoglierlo dagli allenamenti e dalle gare. Pietro, quando doveva sostenere gli esami, gli diceva che si doveva recare dai suoi a Barletta, invece andava a Bari per sostenere le prove. Se pensiamo che il 14/7/1980 ha conseguito la laurea in scienze politiche e il 28/7/1980 è diventato Campione del mondo, cosa dire di più? Quanta energia effettivamente aveva!
Nella sua curiosità infinita, Mennea aveva esplorato anche mondi diversi come quello del calcio. José Mourinho ne è una dimostrazione. Due uomini, un dito, un’amicizia. Bello il gesto del tecnico Interista, il quale donandogli un pallone gli dedicò questa frase: “A Pietro Mennea, un supercampione, esempio per me e per tanti innamorati di sport”. Che cosa prova nel sapere che tante persone anche importanti avevano questo profondo senso di rispetto verso di lui? Il grande affetto che la gente gli mostrava lo rendeva felice, attraverso la sua semplicità era riuscito a conquistare le persone, tutti erano orgogliosi di Pietro Mennea. Vi racconto questa cosa simpatica su Mourinho: un giorno chiama in studio una persona che si presenta come il tecnico dell’Inter, la segretaria pensando a uno scherzo è titubante, lo comunica a Pietro il quale sorpreso gli parla: era veramente José Mourinho! Nasce tra loro una forte simpatia che si è rafforzata nel tempo, si sentivano spesso e in occasione della finale della Tim Cup a Roma nel maggio 2010 ebbero modo di incontrarsi. Bello è stato il racconto di Mourinho, nel 1974 i suoi genitori gli regalarono un libro dedicato proprio a Mennea, lui ne fu molto colpito rimanendo incantato dal personaggio e avvicinandolo ancora di più al mondo sportivo.
Qual è il suo ricordo personale, di Pietro come uomo? Era una persona travolgente, quello che mi manca di Pietro era il suo senso di protezione. C’erano persone che mi dicevano: guarda, lui è un personaggio noto, la sua visibilità professionale ti oscurerà nel tempo, io rispondevo, è meglio così, starò volentieri dietro le quinte, non voglio apparire, è lui il campione. Pietro voleva condividere con me le tante cose della vita, tra noi era nata una sorta di complicità che con il tempo ha rafforzato ancor di più la nostra unione. Posso dire con assoluta franchezza di aver avuto accanto a me una persona veramente unica.
Dal 2006, insieme con lei, ha fondato una Onlus, la Fondazione Pietro Mennea, che si propone di compiere assistenza sociale e donazioni economiche a enti di ricerca, caritatevoli, associazioni sportive e istituzioni culturali mediante progetti che si ispirano all’amore verso il prossimo. Ce ne parla? Pietro, sosteneva l’Onlus con molta forza, coinvolgendosi e seguendo tutto in prima persona, questo scaturiva dal fatto che non si fidava degli altri, e pertanto curava tutto nei dettagli. Diceva sempre: ci metto la faccia, anche se sono “piccole gocce” (riferendosi a contributi economici) preferisco devolverle personalmente io. Quando era invitato a manifestazioni o incontri, non voleva essere retribuito, preferiva che un’eventuale simbolico compenso fosse devoluto alla Fondazione stessa, il suo amore per giovani e bambini era veramente indelebile, come il desiderio di aiutare veramente il prossimo. Io personalmente continuo con decisione la strada da lui intrapresa, anche se sono consapevole che il suo carisma verso la gente è ineguagliabile.
Pietro aveva una biblioteca personale che ha superato i centomila volumi, paragonabili allo stesso numero di testi che formano una biblioteca universitaria o comunale di ottimo livello. Come si è concretizzata questa bella passione? Abbiamo un appartamento pieno di libri, premetto che il suo desiderio era di realizzare una biblioteca-museo. I volumi sono tutti sistemati con un criterio che Pietro aveva curato con scrupolo, dalla narrativa alla finanza, dal diritto all’economia, da libri storici a quelli sportivi, un qualcosa di veramente unico. Vi racconto una cosa curiosa accaduta. A Pietro fu recapitato da una persona (non ricordo il suo cognome), un fossile a forma di freccia con allegato un inedito manoscritto di Gabriele D’Annunzio, ciò lo sorprese, vista la sua rarità, diventando da subito parte integrante della biblioteca stessa. Ci sono lettere, corrispondenza varia, addirittura un fumetto che una scuola elementare gli ha dedicato, quanti bei ricordi! Mi rendo amaramente conto che oggi per i libri non c’è molto interesse Nel periodo della malattia, rendendosi conto delle sue condizioni di salute, si raccomandava di portare avanti quest’idea, invitandomi nel proseguire il suo intento, ed io su questo sarò tenace fino a quando non riuscirò a ottenere questo. Ho provato a parlare con l’attuale Presidente del CONI, il quale si è mostrato disponibile all’idea del museo e della biblioteca, il suo intento è quello di realizzare un museo dello Sport, creando una sezione dedicata a Pietro. Non voglio assolutamente sminuire nessun atleta che ha onorato a livello sportivo l’Italia, ma il materiale che ho in possesso è sufficiente veramente per dedicare un qualcosa d’importante solo per lui.
Un’ultima domanda, Va nelle scuole a parlare di Pietro, per far conoscere il suo pensiero e il desiderio di far valere uno sport pulito? Sì, ma non solo lo sport pulito, lo sport come strumento di formazione finalizzato nel vincere nella vita, era quello che sosteneva Pietro e su cui si batteva. Lui aveva un rapporto con i giovani stupendo, anche se non più in attività, quando si recava nelle scuole per parlare di sport di valori sani e leali, le palestre erano sempre gremite e lui era ascoltato con un’attenzione unica, li affascinava, li colpiva con le sue parole, era un personaggio cui si voleva bene. Oggi vedo i ragazzi, molto fragili, non sanno reagire a fronte di difficoltà, invece nella vita come nello sport bisogna avere quella forza interiore per superare tutto, ecco, questo era quello che Pietro Mennea voleva e sperava per il futuro dei giovani.