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Published on: Archivio Storico Enrico Castelli

Enrico Castelli e i suoi amici artisti

Enrico Castelli, artista poliedrico, si espresse agli inizi principalmente nella scultura, senza tuttavia abbandonare il disegno più puro.

Durante tutta la sua vita non smise di riflettere sul ruolo dell’arte e degli artisti, sul compito culturale delle maggiori manifestazioni artistiche, come la Quadriennale di Roma, sul rapporto dell’arte con la cultura e la religione. Fu scultore, disegnatore, pittore, incisore, stampatore, inventore, ma anche fotografo, scrittore e poeta. Una forza della natura che ha cavalcato in pieno tutto il Novecento italiano ed europeo collaborando con una vasta cerchia di artisti nazionali e internazionali. Castelli svolse attività artistica, nel senso più vasto del termine, fino al 1980, quando morì il 14 aprile.

Dopo il conflitto della Seconda guerra mondiale negli anni ’50, il mondo dell’arte ha adoperato un linguaggio espressivo molto uniforme: uno dei primi esempi di globalizzazione linguistica. È l’informale, termine sfuggente, ma assolutamente evocativo, che si organizza in altre denominazioni, come per esempio abstract expressionism e action painting negli Stati Uniti, ma le cui caratteristiche rimangono costanti.

È infatti talmente forte, in quel momento, il peso della storia, che tutti i protagonisti del mondo e tra loro gli artisti, sentono gravare sulle loro spalle l’età dell’angoscia, la paura della bomba atomica, la guerra fredda, la tensione tra le due super potenze.

Tutto ciò produce un linguaggio comune basato sull’emozione, sulla percezione di una fine possibile, sul disagio di vivere: l’informale potrebbe essere l’aspetto visivo dell’esistenzialismo filosofico di quel momento.

Anche Enrico Castelli è stato artefice in quegli anni, con una propria elaborazione artistica di astrazione geometrica, dell’atmosfera percepita in quegli anni.

Dopo la scomparsa della sorella avvenuta alla fine degli anni ’90, spesso mi riaffiorano molti ricordi riguardo gli incontri piacevoli quasi giornalieri con Giselda.

Mi ricordo ore e ore a parlare dell’arte in generale ma soprattutto degli incontri del fratello con altri artisti, delle difficoltà di realizzare i progetti. Diceva sempre del fratello che era un vulcano pronto ad esplodere.

Negli anni ho letto pubblicazioni che trattavano storia dell’arte del ’900 italiano,  ma la mia curiosità mi portava ad approfondire tutti gli artisti: come scultori pittori e architetti che hanno conosciuto e collaborato con Castelli in progetti di lavoro, alcuni realizzati altri no.

Mentre dialogavamo, Giselda a volte fermava il discorso all’improvviso per andare a recuperare progetti, bozzetti, appunti di Enrico, come a testimoniare la realtà dei suoi racconti, credo lo facesse per essere sicura che io le credessi.

Spesso mi parlava di artisti che il fratello aveva conosciuto, come Giorgio Morandi, Giacomo Balla, Burri, Afro e tanti altri; un elenco che sarebbe troppo lungo da esporre.

Vedendo i documenti e gli scritti di quei “grandi” dell’arte italiana e dell’arte internazionale mi dava una grande emozione perché erano tutti artisti che avevo studiato a scuola.

Mi parlava di artisti amici di vecchia data soffermandosi sulla dinamicità dei loro rapporti intensi e ricchi di progetti artistici.

Un giorno leggendo un catalogo di una mostra d’arte dove partecipavano quattro artisti di cui due scultori e due pittori, l’occhio mi andò subito sul nome di uno dei due, lo scultore Edgardo Mannucci una figura originale e di grande valore artistico ma stranamente non sufficientemente stimato e poco valorizzato dalla critica di quegli anni.

Sempre dai racconti di Giselda, è emersa la grande stima che Enrico aveva nei confronti di Mannucci, era entusiasta di condividere lo stesso studio in Via Flaminia, parliamo degli anni ‘30.

In seguito un altro artista si aggiunse come ospite nel loro studio: Franco Gentilini. Con lui rimase un’amicizia e una stima di lungo tempo.

Nel 1977, Mannucci dichiarava in un’intervista fattagli da Manuela Crescentini, storico dell’arte, che, durante la guerra, è stato in Albania, in Grecia, a Creta e fatto prigioniero.

“Quando sono ritornato a casa, mi sono messo subito a lavorare, facendo un ritratto a mia moglie e un ritratto alla mia figlia ma tutto questo non mi diceva più niente, non era più una verità: Pensai che questa roba se l’avesse trovata un critico, fra cinquecento anni l’avrebbe presa per un lavoro dell’800, non sarebbe potuta essere di quest’epoca! E maturando la convinzione che dopo Hiroshima è avvenuto un cambiamento radicale nella nostra sensibilità prima si pensava alla natura morta, oggi c’è tanta energia da far sparire l’Italia dalla cartina geografica”.

Mi ricordo che Giselda raccontava che il fratello negli anni ’50 proprio dopo l’avvento dell’atomica, rifletteva sulla bruttura della guerra diventando molto critico verso il potere ma sempre con un filo d’ironia, soprattutto nelle sue espressioni letterarie e poetiche. I suoi studi e il suo cambiamento nel fare arte lo ha portato a utilizzare diversi materiali e tecniche che lo hanno caratterizzato in uno stile astratto geometrico, elaborando disegni, pittura, pastelli e sculture realizzate in ferro. I discorsi tra gli artisti erano improntati su un nuovo linguaggio espressivo che sfociava nell’informale, il cui esponente di spicco fu proprio il suo amico Burri, e in un modo diverso anche il suo amico scultore Minnucci, nonché lo scultore Pericle Fazzini.

Franco MASSIMI

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L’Associazione Culturale La Farandola è sempre interessata a raccogliere il maggior numero di documenti di Enrico Castelli. Qualora aveste a disposizione immagini, o semplici documenti legati alla storia di Enrico Castelli, e foste interessati a conferirli, ci potete contattare ai seguenti recapiti:

archiviostoricocastelli@lafarandola.net

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